Ben pochi di noi, per buona sorte, hanno mai vissuto l’esperienza orribile di trovarsi bloccati, senza prospettive di uscirne, su una sedia a rotelle. E presumibilmente per questa ragione, gran parte di noi ha dell’abbattimento barriere architettoniche un’idea che è, a voler essere ottimisti, quantomeno vaga – quando invece non si trova ad essere quasi del tutto assente. Nei casi migliori percepiamo, indistintamente, che possa essere una cosa giusta da fare, e specialmente di consueto pensiamo che, tutto sommato, visto e considerato quanto strazio e quanta pena sono costretti a patire i disabili, dare loro in compensazione qualche vantaggio e qualche favore sia solamente giusto.
Di certo, quando pensiamo questo, siamo pieni della sensazione di avere dichiarato un’idea profondamente giusta e generosa, per non voler dire direttamente magnanima, e quindi c’è la eventualità che ci sentiamo piccati, e colti sul vivo, dall’affermazione che leggeremo fra poco. Questo non è un motivo sufficiente per astenersi dal farla: il problema non è questo. Non c’entrano niente, con la faccenda, né il reale dolore e la concreta sofferenza di un disabile – che restano naturalmente innegabili – né tanto meno un qualche moto di conforto, per generoso e commovente che possa apparire il desiderio di portare conforto a chi patisce questa sfortuna.
La angolatura corretta da cui osservare la questione è molto differente – e anche se sembra slegata dall’argomento, non lo è. Per capire dobbiamo pensare ad uno dei fondamenti della nostra società: i doveri e i diritti che a tutti competono in quanto cittadini, e che devono essere a tutti resi da un lato svolgibili e dall’altro godibili in maniera completa – pena la divisione dei cittadini, appunto, in un gruppo di ordine superiore ed uno di classe inferiore, il che porta ad un mondo a due velocità, in cui alcuni vengono per forza lasciati indietro – uno stato di cose che non uno di noi si sognerebbe di definire democratico.
E le barriere architettoniche sono proprio un esempio di questo tipo di società, a prescindere dai motivi storici per cui possono essere state non considerate nel corso dei secoli: rimane il fatto che oggi sono un elemento inammissibile non per un fatto di compassione, ma per un fatto di equità. Se dovessimo provare l’esperienza di cui parlavamo all’inizio, quella di essere su una sedia a rotelle, scopriremmo che, se c’è solo una scala per raggiungere gli uffici del comune, siamo impossibilitati ad occuparci in via autonoma anche di attività basilari come il rilascio di un documento: e che un bancone troppo alto all’ufficio della posta ci può far diventare impossibile o ingiustamente penoso anche solo inviare una raccomandata.
Come dovrebbe quindi mutare, per essere forse meno ampollosa ma di sicuro più giusta e matura, l’ottica di cui parlavamo in apertura? Dovremmo semplicemente indagare la nostra società e domandarci “Dei diritti di cui dobbiamo godere tutti, per essere cittadini attivi e utili alla società, quali sono in qualche modo ostacolati da una situazione di disabilità, e come è possibile operare per eliminare tale ostacolo?” Di sicuro ci salteranno agli occhi tante barriere architettoniche. Ma se saremo onesti, ancor prima, ne scopriremo tante nella nostra testa.